lunedì 11 marzo 2019

Vox

«Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi; è l'indifferenza dei buoni.» (Martin Luther King)

Rieccomi al blog... Ho sempre un sacco di cose da scrivere e poco tempo.
Non sono riuscita (come immaginavo) a preparare un post sull'ultima esperienza in carcere, sulle letture che ho cercato e sulla mini lezione che ho fatto: per questo, rimando all'articolo pubblicato su Phaneron.
Non ho nemmeno (ancora) parlato del mio laboratorio sul viaggio, sulla conoscenza e sull'incontro con l'"altro", che ho realizzato con la mia classe IV... Ma per questo c'è tempo, visto che prima vorrei anche documentarmi sulla "didattica lenta" e su altri spunti interessanti che ho raccolto durante un corso di aggiornamento tenutosi lo scorso mese presso la mia scuola. (Da quando insegno, è il primo corso di formazione veramente utile che mi sia capitato di seguire: il che la dice lunga sullo stato della scuola pubblica italiana!)

Oggi, invece, a breve distanza dalla Festa della Donna (quanto mai necessaria, quanto mai contestatrice), vorrei parlare di una delle mie ultime letture: Vox, della scrittrice americana Christina Dalcher. Un romanzo disturbante, sconvolgente, su cui tutte le donne oggi dovrebbero riflettere.
La vicenda è ambientata in un futuro molto prossimo: negli USA l'ultimo presidente afroamericano ha appena terminato il suo mandato e le successive elezioni sono state vinte da Myers, un ultraconservatore spalleggiato dal "Movimento per la Purezza", che ha come capo il fanatico reverendo Carl. Il Movimento si pone come principale obiettivo il ripristino di una società "pura", improntata ai valori tradizionali, in cui il principale compito dell'uomo è di lavorare e fornire sostentamento alla famiglia, mentre alla donna spetta di essere sottomessa, pudica e di restare a casa ad allevare i figli (insomma, una visione bucolico-reazionaria non molto distante da quella promossa dalla Lega di Crotone lo scorso 8 marzo...).
Poco per volta, il Movimento, appoggiato dal potere politico, riuscirà nel proprio intento: con grande sconcerto di tutto l'Occidente, negli USA poco per volta le donne perdono tutti i loro diritti: non possono più lavorare e, come se questo non bastasse, viene loro applicato al polso un braccialetto metallico che controlla il limite di parole pronunciate ogni giorno. Se una donna supera il limite delle cento parole giornaliere, viene subito colpita da una terribile scarica elettrica.
La protagonista della vicenda è Jean McClellan, una neurolinguista di successo, che ha quasi scoperto la cura per l'afasia di Wernicke. La dittatura di Myers e del reverendo Carl si è già instaurata, Jean ha perso il lavoro e la sua ricerca, è preoccupata per il futuro della figlia Sonia e spesso ripensa con amarezza ad ogni volta che, in passato, è stata debole e ha rinunciato a combattere per i propri diritti. Con particolare rammarico pensa all'amica Jackie, attivista femminista scomparsa nel nulla (in realtà incarcerata in una struttura speciale, dove le donne ribelli sono costrette a svolgere lavori umili e pesanti e non possono pronunciare nemmeno una parola) dopo l'avvento al potere dei "Puri".
Un giorno, però, la monotona vita di Jackie viene sconvolta da un avvenimento imprevedibile: a casa sua e del marito Patrick (funzionario governativo apparentemente debole e incapace di prendere una posizione) arriva niente meno che il reverendo Carl. Il fratello del presidente Myers, infatti, in seguito a un incidente, ha subito un trauma cranico e una lesione in una zona specifica del cervello, tale da determinare l'afasia di Wernicke, di cui Jean è la massima esperta. Il potere, patriarcale e maschilista, dunque, ha bisogno proprio di una donna per sistemare i propri guai...
Il volantino realizzato dai "puri" dalla Lega di Crotone lo scorso 8 marzo,
in cui si parla di «ruolo naturale della donna volto al sostegno
della vita e della famiglia».

La scrittura della Dalcher è rapida, accattivante e guida il lettore (senza mai perdere la sua attenzione) attraverso una serie di colpi di scena che non rivelerò qui.
Ciò che mi preme sottolineare è piuttosto la forza del messaggio di questo romanzo, che ci mette in guardia e ci costringe ad aprire gli occhi: trasformati come siamo in "utili idioti" (attenti solo alle questioni del nostro quotidiano, della nostra vita personale, assorbiti da un utilzzo sempre più invadente della tecnologia), spesso non ci accorgiamo dei diritti che ci vengono sottratti. Rinunciamo a combattere, a ribellarci (proprio com'è accaduto a Jean McClellan) e per questo rischiamo di svegliarci un giorno e di ritrovarci servi, sottomessi, schiacciati sotto un giogo che apparirà impossibile da (ri)sollevare.
Ci crogioliamo nella nostra pericolosa indifferenza finché sono i diritti "degli altri" ad essere toccati (dei migranti, delle minoranze etniche o religiose ecc.); ma cosa accadrebbe se infine toccasse a noi? Cosa succederebbe se, proprio nell'epoca dei social e delle comunicazioni rapide e immediate, a una parte della società civile venisse tolto il diritto di parola e di espressione?
Non solo il panorama tratteggiato dalla Dalcher è inquietante; lo è anche la descrizione che l'autrice fa (attraverso sapienti e ben dosati flashback) della diffusione infida, ma capillare, della dittatura. Quando essa si instaura definitivamente, in tutta la sua ferocia, donne pure intelligenti, come la protagonista, vengono colte quasi di sorpresa, rimangono spiazzate. «Come siamo arrivati a questo?» si domandano, quando ormai è troppo tardi per opporre resistenza.
Un romanzo che forse molti definiranno pessimista; ma che aiuta ad aprire gli occhi sulle nuove forme di dittatura, che noi tutti dovremmo allenarci a scovare e riconoscere. Allenamento quanto mai necessario, a mio avviso, in un'epoca e in un Paese in cui ancora si tenta di attaccare il divorzio, la legge 194 e in cui ancora ci si permette di parlare di «ruolo naturale della donna» come moglie e fattrice.

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