giovedì 22 giugno 2017

L'arte di essere fragili

Povero il mio blog, abbandonato dalla fine della famigerata ultima tranche del secondo quadrimestre fino ad oggi! Ho accumulato una quantità di post, idee e recensioni da far spavento!
Ora che finalmente sono in ferie (e in disoccupazione, da buona insegnante precaria quale sono...) cercherò di recuperare terreno.

Inizierò oggi, con la recensione di un libro di cui ho portato a termine la lettura il mese scorso: L'arte di essere fragili, di Alessandro D'Avenia.
Premetto che, non amando le "mode letterarie", non ho letto nessuno dei titoli di D'Avenia che vanno per la maggiore (su tutti Bianca come il latte, rossa come il sangue, che pure sembra essere piaciuto molto ad alcuni miei studenti). A quest'ultimo L'arte di essere fragili mi sono avvicinata proprio perché tratta di Giacomo Leopardi, visto e considerato dalla prospettiva di un giovane docente di materie letterarie.
Leopardi, si sa, è un autore difficile da insegnare: universalmente banalizzato, è noto agli studenti come "lo sfigato", "il gobbo", quello che si è rovinato la vista a forza di studiare («Non fatevi prendere dall'ansia» commento in genere a quel punto, «a voi non succederà di certo...») e che non aveva fortuna con le donne. Povero Giacomo, anche lui vittima dei luoghi comuni.
Il grande vantaggio dell'opera di D'Avenia, dunque, è di ripercorrere tutte le tappe della vita del poeta recanatese (il volume è suddiviso in quattro parti: l'adolescenza - o l'arte di sperare; la maturità - o l'arte di morire; la riparazione - o l'arte di essere fragili; morire - o l'arte di rinascere) proprio allo scopo di riabilitarne la grandezza agli occhi dei più giovani. Alcuni spunti (sebbene non particolarmente originali) sono lodevoli, se non altro per il tono diretto adottato da D'Avenia. Il libro, infatti, non è un saggio su Leopardi, ma un insieme di lettere che l'autore scrive al suo poeta prediletto, creando un ponte fra presente e passato, fra poesia e quotidianità.
D'Avenia ci presenta Leopardi come l'autore della malinconia (ma la malinconia altro non sarebbe se non «la porta chiusa verso la stanza dove dorme il divino in noi»), ma anche come colui che ha saputo «trasformare in canto il dolore della vita» e l'inadeguatezza stessa dell'essere umano. Altro che sconfitto dall'esistenza: ci vuole coraggio e un occhio attento alla Bellezza, per trasformare le proprie cadute e i propri fallimenti in un superamento continuo del limite impostoci, in una vera e propria "poesia della consapevolezza".
In questo senso, ho apprezzato il libro di D'Avenia. La prospettiva attraverso cui egli considera l'opera leopardiana non sarà forse particolarmente originale (come ho già accennato), ma è in ogni caso accattivante, ben esposta attraverso una prosa che sa coinvolgere e far riflettere.
Ho apprezzato meno, invece, alcune sterzate in chiave "mélo", in cui D'Avenia si propone come giovane professore modello (ovviamente di liceo!), coraggioso e pioniere, che dispensa ai propri studenti consigli, libri e lettere all'ombra degli alberi. Un'immagine edulcorata della scuola e del rapporto insegnante-alunno, che poco mi appartiene e in cui (io, che ho fatto la mia gavetta nei professionali e che dunque ho conosciuto realtà ben più difficili da gestire!) fatico a rispecchiarmi.
Un'opera che presenta spunti interessanti, insomma, questa "arte della fragilità" di Alessandro D'Avenia; ma a cui male non avrebbe fatto una spolverata di sense of humor in più. Credo che perfino Leopardi l'avrebbe gradita.

A. D'Avenia
L'arte di essere fragili
Mondadori
P. 209

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