lunedì 14 ottobre 2019

Sorridi, mamma!

Appunti per una maternità senza patemi

Ancora prima che nascesse Maya, sono sempre stata interessata alla maternità e alle sue connessioni col Femminile. Purtroppo, essa è stata per lungo tempo strumentalizzata dal sistema patriarcale, diventando (che blasfemia!) il mezzo principale attraverso cui imprigionare le donne all'interno di uno stereotipo, limitando la libertà personale e tarpando le ali della loro creatività.
Nel corso dei secoli, si diffonde infatti (specie col grande aiuto del cristianesimo) il modello della "madre santa", dimentica di se stessa e appagata esclusivamente dal proprio ruolo. Una creatura che non è più donna. È solo madre e, come tale, non deve desiderare altro. Né le sono concessi cedimenti, perché la maternità dovrebbe essere (il condizionale è d'obbligo in questo caso) il modello dell'amore perfetto, disposto al sacrificio in quanto condizione imprescindibile all'esistenza stessa del sentimento.
Tenendo conto che "la perfezione è terribile, non può avere figli", è normale che qualsiasi donna e madre sia destinata a uscire perdente dal confronto con questo tipo di amore sublimato, angelico. Da qui tutti i sensi di colpa di coloro che si sentono stanche, ma non hanno il coraggio di dirlo; che vorrebbero continuare a coltivare il loro femminile, ma non lo fanno perché "sono madri"; che non riescono a convivere col loro lato d'ombra perché - così ci è stato insegnato - le madri dovrebbero essere sempre dolci, sorridenti, positive.
Solo in tempi abbastanza recenti si è cominciato a dare il giusto spazio alle problematiche femminili riguardanti il materno, a parlare della solitudine delle madri e delle loro difficoltà dopo il parto e dell'importanza fondamentale del ruolo del padre nella gestione del bambino. Col risultato, però, che anche questa volta rischiamo di farci manipolare.
Immagine Devostock.com
(tramite Pinterest)

Va bene, infatti, smettere di presentare la maternità come unica (e doverosa) forma di realizzazione femminile; ma bisogna tener presente che anche costruire una "mitologia" della sofferenza delle madri non rende giustizia alle donne e, ancora una volta, non permette loro di riappropriarsi del bene più prezioso: la forza della consapevolezza.
Negli ultimi anni, complice anche la diffusione capillare dei social network, si è assistito al proliferare di siti web, pagine Facebook e account di Instagram che promuovono lo stesso messaggio: le madri (soprattutto le neomamme) soffrono, piangono e sono sempre sul confine pericoloso della depressione, schiacciate dalla stanchezza cronica e dal senso di responsabilità. Il tutto condito da foto o disegni patetici, raffiguranti madri disfatte, che si tengono la testa tra le mani e che piangono da sole sotto la doccia, accasciate a terra e stillando lacrime e gocce di latte dai seni gonfi.
Si dirà: "Va tutto bene, purché se ne parli" e io sono soddisfatta al pari di molte altre persone che la depressione post partum non sia più un tabù. (A questo proposito va comunque rilevato che la vera depressione post partum è un fenomeno che colpisce una percentuale compresa fra il 7 e il 12% delle nuove madri: non è che, ogni volta che si è un po' afflitte e si ha voglia di piangere, debba trattarsi per forza di depressione clinica!)
Tuttavia mal sopporto questo genere di messaggi, perché mi pare che trasmettano di nuovo l'immagine di una donna sconfitta, annientata e prigioniera di un ruolo. Se PRIMA la donna non poteva neppure menzionare di provare stati d'animo negativi in quanto madre, ORA questi stati d'animo (che naturalmente accompagnano qualsiasi momento di passaggio) vengono sbandierati ai quattro venti e quasi ostentati, senza che però le donne ne traggano un reale beneficio: continuano ad essere sole e oppresse dal fardello della maternità. Ora si lamentano, mentre prima sorridevano forzatamente; ma, insomma, non mi pare che la loro condizione generale sia migliorata granché.
Quello che vorrei vedere elogiata e sottolineata non è la capacità delle donne madri di provare dolore (capacità per altro comune a tutto il genere umano... e non solo!), ma la loro forza intrinseca e la loro competenza.
Per quanto difficile e destabilizzante possa essere l'approccio con la maternità, noi, in verità, possediamo tutti gli strumenti e le capacità per gestire la situazione e venire incontro a tutte le esigenze del nostro neonato. Per tanto, troppo tempo ci hanno voluto fragili, insicure, ospedalizzando tutto ciò che riguarda la nascita. Al contrario, una donna PUÒ affrontare i momenti più ostici della maternità facendo appello alla propria voce interiore, alla fiducia nel proprio bambino (questo è un argomento di cui non si parla quasi mai!), al dialogo che si stabilisce all'interno della diade.
Non è tanto il pianto delle madri a dover essere esaltato, ma la loro capacità di risollevarsi dopo la sofferenza e di gestire i momenti di crisi infondendo positività, gioia e serenità a se stesse e al loro stesso bambino. La forza e la "centratura" sono il Divino che sta all'interno di noi e che dovremmo sforzarci di coltivare e di tramandare.
A tale proposito, voglio cercare, nel mio piccolo e attraverso la mia modesta attività online, di produrre e raccogliere parole e testimonianze che possano aiutare le donne che scelgono di diventare madri a ricordare chi siano veramente...
Siete molto più forti di ciò che ogni giorno vogliono farvi credere, ve lo giuro.

Weyward

Tre generazioni di donne, le Weyward, che, dal XVII secolo ad oggi, sono unite da un unico misterioso destino. Il romanzo d'esordio dell...