lunedì 6 novembre 2023

Le streghe di Manningtree

Un gruppo di donne indomite e bislacche, accusate di stregoneria. Una comunità bigotta e messa a dura prova dalla guerra civile inglese. E infine un uomo, esaltato nella propria fede, che vuole ricercare il male a tutti i costi.
Sono gli ingredienti principali del bellissimo romanzo d'esordio di A.K. Blakemore.



Le streghe di Manningtree
, edito in Italia da Fazi, è il coinvolgente romanzo di esordio della scrittrice A.K. Blakemore.
Ambientato in Inghilterra nel XVII secolo, ai tempi degli scontri fra parlamentaristi e l'esercito di Carlo I, racconta della caccia alle streghe nell'Essex, ad opera dell'"inquisitore generale" Matthew Hopkins e del suo aiutante John Stearne. Il numero delle vittime pare sia stato molto alto: alcuni storici ipotizzano che vi siano state addirittura trecento condanne a morte. John Stearne, autore del volume, edito nel 1648, Conferma e scoperta della stregoneria, parla di circa duecento donne catturate e uccise.
La Blakemore, basandosi sui verbali dei processi, ricostruisce la vicenda umana e giudiziaria della giovane Rebecca West e del gruppo di donne indomite e bislacche accusate di stregoneria nel villaggio di Manningtree, sulle rive dello Stour. Tra esse, non solo la stessa Rebecca, ma anche la madre di quest'ultima, Anne Beldam West, donna fiera e imponente, dalla lingua tagliente, conosciuta in paese per essere una grande bevitrice e un'instancabile masticatrice di tabacco. Oltre che per il fatto che tutti quelli che le fanno un torto in genere vanno incontro a una brutta fine.
L'autrice, attraverso un climax sapiente, ricostruisce il contesto storico e sociale dell'epoca, mostrandoci le ripercussioni degli avvenimenti storici sulla vita quotidiana delle persone di Manningtree. La guerra civile che ha costretto molti uomini ad allontanarsi da casa; la povertà causata non solo dalla situazione politica del Paese, ma anche da un inverno gelido e impietoso; le malattie (soprattutto infantili) causate dalla miseria; le nevrosi di una società puritana e bigotta, che spesso trovano sfogo attraverso forme di apparente possessione demoniaca... Tutto concorre a far sì che si debba per forza trovare un capro espiatorio. E questo è rappresentato dalla Beldam West, Liz Godwin, Margaret Moone, Anne Leech e la vecchia madre Clarke. «Tutte insieme, un branco di squinternate», come le definisce Rebecca verso la fine del romanzo, che riescono a sopravvivere alla solitudine e alla miseria grazie all'istinto di una solidarietà femminile spiccia, senza fronzoli né moine.
Una delle scene a mio avviso più belle del romanzo è quella in cui Rebecca e la Beldam West portano a casa propria madre Clarke, che è stata malmenata dallo yeoman Richar Miller mentre lo stava implorando di regalarle qualcosa da mangiare. Impiegano un'ora per trasportarla dalla proprietà dei Miller al loro piccolo cottage, dato che «i Miller l'hanno lasciata lì, nella neve, come una bestia. [...] Mia madre prende le mani fiacche e sudicie della vecchia tra le sue e le strofina con vigore, prima la sinistra e poi la destra. Prova a versare un cucchiaio di porridge annacquato nella sua bocca allentata e inerte. Io assisto dalla porta e mi stupisco di mia madre, della tenerezza con cui si prende cura della vicina, di quella donna eccentrica, di quella nullità, di quella reietta quasi senza amici. Sembrerà assurdo, ma mi fa pensare a Maria Maddalena, la Maria Maddalena che asciugò i piedi di nostro Signore Gesù Cristo con i suoi bellissimi capelli. E per un istante tutto mi è chiaro. Tutto ha senso. Ed è a Dio che mi riferisco. Non tanto il mostro borioso di cui il pastore Long è abituato a pontificare, quanto a ciò che chiamano lo Spirito: il calore trasmesso alle mani intirizzite di un'invalida, i baci dati per asciugare le lacrime, la carità, e cose simili».
Ed è proprio al termine di questa scena in cui la Beldam West si prende amorevolmente cura (con un'attenzione insolita per quella che è la sua indole) della reietta madre Clarke, cieca e storpia, che finalmente le due donne osano parlare di quello che sarà, a breve, il loro comune destino...

«Credono che madre Clarke sia una strega» parlo, infine. «E che anche tu lo sia e, probabilmente, anch'io. Hopkins e gli altri.»
Mia madre rivela un sorriso stanco e si toglie la cuffia dai capelli ingrigiti. «Strega», mormora. «Dai troppo ascolto ai pettegolezzi, coniglietto. "Strega" è l'offesa che affibiano a chiunque faccia succedere le cose, a chiunque porti avanti la storia. Uomini come Hopkins, o come quel broccolo di Richard Miller, pregano ogni giorno perché Dio punisca i loro nemici, o perché una bella fanciulla li degni di uno sguardo. E se dovesse succedere, lo considerano un miracolo, un prodigio, la dimostrazione della loro presenza tra i giusti. Quel che fa una "strega", mi pare, è il favore di dire quelle preghiere a voce alta, e in compagnia.»


È questa una definizione non da manuale - ma è una delle più belle che io abbia mai letto del concetto di "strega".

La scrittura di A.K. Blakemore è ricca, carica di suggestioni e al tempo stesso molto scorrevole. Coinvolge, seduce, spinge il lettore ad andare avanti, avvolgendolo nelle atmosfere dei luoghi (nella sua prosa, si respirano addirittura gli odori, di quella campagna fredda, fradicia di neve e di pioggia) e nella sapiente ricostruzione della psicologia dei diversi personaggi.
Uno dei libri più belli letti quest'anno, che ho iniziato a rivedere non appena giunta all'ultima pagina, con l'intento di annotarmi passaggi, riflessioni, parole...
Imperdibile per chiunque sia appassionato, al contempo, di narrativa e di storia della stregoneria.

Per chi è adatto questo libro:
• per chi, come me, è appassionato di storia della stregoneria;
• agli appassionati di romanzi storici;
• a chiunque stia cercando una storia al femminile, scritta con cura e attenzione per quanto riguarda la ricostruzione della psicologia dei personaggi.

Buona lettura! :) ♥

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