mercoledì 18 settembre 2019

All'improvviso, tu

Le mie riflessioni sulla prematurità

Nessuno ne sa niente. Di quello che ho provato quando mi sono resa conto che Maya sarebbe nata prematura e che avremmo dovuto trascorrere chissà quanto tempo in ospedale, nessuno sa nulla, a parte Paolo, Mara e Cinzia (le mie amiche-sorelle).
Nessuno conosce la sensazione di spaesamento e di impotenza quando ti accorgi che tutto sta accadendo troppo in fretta e non puoi fare nulla per fermare il tempo.
«Si è rotto il sacco amniotico, entro ventiquattro ore deve nascere.»
Come, ventiquattro ore? E poi? Ma ce la farà, a resistere nel mondo esterno? E non sarà terribile, per lei, trascorrere i suoi primi giorni di vita in una super tecnologica scatola di plastica, invece che accanto a sua madre, nell'abbraccio dei familiari? Che cosa proverà la sua piccola anima? Avrà paura? Crederà che l'abbiamo (che l'HO) abbandonata?
E tu, mamma impaurita, che cosa puoi fare per evitare tutto questo? Niente. Entro ventiquattro ore dovrà nascere.
E poi. E poi ci saranno tanti giorni in ospedale. Tu nel nido e io nella camera accanto. Solo una parete ci divide e, poco per volta, il mio orecchio si allena ad ascoltare i suoni della tua vita che procede - nonostante i timori di tutti. Il tuo pianto vivace, il trillo del sondino quando ti stai agitando troppo. Arrivo al punto di precedere l'infermiera, quando ti sento gridare. Lei viene a chiamarmi per avvisarmi che è l'ora della poppata e io sono già pronta, con le ciabatte nei piedi e la vestaglia addosso.
Posso venire a trovarti spesso, ma non ogni volta che vorrei. Non troppo presto la mattina, non troppo tardi la sera e mai quando ci sono le visite mediche. A volte posso solo portarti il mio latte. E' tutto quello che riesco a fare per te.
Altre volte aspetto con ansia che mi chiamino le infermiere, per la poppata delle nove... e loro poi non lo fanno perché "c'era la pediatra, abbiamo fatto che darglielo noi con la siringa".
In tante occasioni avrei voluto piangere - e non l'ho mai fatto. Perché tu eri la più piccola del nido, ma anche la più forte e tenace. Quando ti hanno attaccata al seno per la prima volta, ti sei aggrappata a me con un'ostinazione caparbia che mi ha fatto provare ammirazione. Avevi una manina fasciata, il sondino nel piede... eppure apparivi goduta e felice. E chi sei tu, per piangere e disperarti, mentre tua figlia è così forte? Non vorrai mica cedere. Non adesso. Lei ti ha scelta, sette mesi e mezzo fa, e non puoi deluderla.
Così, mi dicevo. E andavo avanti. Giorno dopo giorno. Chiusa con te all'ospedale. I giorni tutti uguali. Non sapevo neanche che tempo facesse fuori.
«Signora, ma lei può anche uscire, andare a fare una passeggiata.»
Figuriamoci. Già ti vedevo poco. Ci mancava solo che mancassi un appuntamento per colpa di una stupida passeggiata. Non andavo neanche al bar dell'ospedale. Leggevo Dostoevskij e ti aspettavo, piccolina mia. 
Immagine da Pinterest
Nel frattempo, venivano tante persone a trovarmi. Tutti cercavano di rassicurarmi. Ma nessuno sapeva. Del mio senso di colpa, dei miei timori non tanto per la tua salute (che eri robusta, lo vedevo!), ma per il tuo stato d'animo. Alcuni hanno cercato di mostrarmi il bicchiere mezzo pieno, dicendomi che avrei dovuto vivere quei giorni di lontananza da te come un allenamento progressivo. «Altrimenti ti saresti trovata a fare la mamma dall'oggi al domani, ventiquattro ore su ventiquattro, appena dopo il parto!». Come se fosse una fortuna avere una figlia monitorata ventiquattro ore su ventiquattro, sotto flebo, chiusa in una scatola. Una figlia che puoi toccare solo attraverso le apposite aperture, mezz'ora per volta. Una figlia che, per tre giorni, hanno nutrito con una siringa. E come se, una volta uscita dall'incubatrice, anche io non mi fossi trovata di colpo a gestire la mia bimba da sola, ma con l'aggravante dei sondini, con la complicazione di quella fragilità intrinseca che si porta appresso ogni bambino nato prematuro, per quanto sano sia.
Ancora adesso, che ti ho sempre con me e sei florida e rosea, ti vedo sempre più delicata degli altri e lo ripeto a tutti: «Perché, sai, lei è prematura...»
Ciò nonostante, ho dovuto e voluto essere forte, in quel periodo trascorso in ospedale. Mi chiedevano: «Come stai?» e io rispondevo: «Bene» e sorridevo, perché volevo stare bene per te. E, alla fine, è andata che ho iniziato a sentirmi bene sul serio.
E' andata che ho iniziato a riflettere su quanto relativamente facile e rapido fosse stato il mio parto. A quanto tu fossi bella e perfetta già appena nata. Alla felicità di tuo padre nel constatare questa perfezione: «Mamma mia, ma vedi che figlia bella abbiamo fatto?» mi ripeteva ogni volta che veniva a trovarti insieme a me, avvolto nel suo camice verde.
«Ti rendi conto che è nostra?»
«Eh sì.»
«Si vede che ce la siamo proprio meritata.»
Forse sì, non lo so. Di certo, fin dai primi giorni di vita mi hai insegnato molto. Mi hai mostrato che cosa fosse la vera tenacia, l'importanza del pensiero positivo, la bellezza del saper resistere allo sconforto rifugiandosi nei piccoli gesti di ogni giorno. Sarà per questo che non ho mai avuto timore di ritrovarmi sola con te, una volta tornate a casa. Avevo capito che da te potevo solo imparare - e volevo farlo senza interferenze né "interpretazioni" esterne.
Adesso va tutto bene. Siamo felici. Tu sei una bimba sana, sorridi spesso e piangi poco. Sei serena, lo si vede, lo si sente - e questo mi consola. Lo sono anche io, sebbene mi siano rimasti l'ansia di doverti proteggere e qualche tarlo: Ma dici che Maya mi vuole bene? domando alle volte a tuo padre - anche se il quesito esatto sarebbe: Secondo te mi ha perdonata, per non essere stata con lei fin dall'inizio? 
Lui non mi risponde, scuote la testa. Dovrete portare pazienza, tu e papà: non so se e quando si sopiranno mai, i miei sensi di colpa.
Tuttavia, tu sai sempre come rassicurarmi - con il tuo appetito robusto, con le tue prime forti risate e ogni volta che mi cerchi con lo sguardo. E' come se mi dicessi: Non preoccuparti, mamma. Sto bene. Staremo bene insieme. E io mi sento soddisfatta, piena e forte, "centrata" (come mi piace dire) come non lo sono mai stata in vita mia. Lo sono per te e con te, che avevi così tanta voglia di conoscere il mondo.

Weyward

Tre generazioni di donne, le Weyward, che, dal XVII secolo ad oggi, sono unite da un unico misterioso destino. Il romanzo d'esordio dell...