giovedì 25 febbraio 2021

Il giardino di Arianna

Dedicato a Ginevra Amerighi e a sua figlia Arianna.

Era un tiepido marzo. Uno di quelli in cui il sole risplende fin dal mattino e ti scalda i capelli, la pelle e lascia presagire tutto lo sfarzo della primavera imminente.
Era un marzo meraviglioso, nel nostro giardino. I narcisi avevano bucato la terra greve e dormiente e allungato verso il cielo terso prima i loro steli, le loro foglie verdi, poi le trombette e le corolle gialle, impertinenti.
Avevi un anno e mezzo ed ero impaziente di mostrarti lo spettacolo della natura che si risveglia, amore mio.
Non eri più una neonata dagli occhi socchiusi. Ora avevi maggiore coscienza. Sapevi meravigliarti di fronte alla bellezza del mondo e io non stavo più nella pelle: quante meraviglie avremmo scoperto insieme, quante passeggiate avremmo fatto nella campagna che circondava la nostra casa. Ti avrei insegnato il nome delle erbe che crescevano spontanee lungo i fossi, insieme avremmo osservato il volo degli uccelli. Ti avrei mostrato come essere delicata, al cospetto di ogni risveglio.
E' questo che facciamo, noi donne che abbiamo conservato un legame speciale con ciò che ci ha generato: riscaldiamo, proteggiamo, tramandiamo conoscenze.
E io ci ho provato - a proteggerti - mia piccola rondine.
Quel mattino, quando le automobili delle forze dell'ordine e degli assistenti sociali ci hanno circondate per portarti via da me, ho tentato di battermi come una leonessa. Mi sono chinata sul tuo passeggino, ho provato a farti scudo col mio corpo, a gridare con una voce vecchia di secoli.
Ma non è servito. Loro erano troppi. Erano forti. Erano ignari. Non sapevano nulla del mio averti portata nel ventre, del tuo sangue che scorreva nel mio, dei nostri cuori che battevano (terrorizzati) all'unisono. Non volevano saperne nulla. Mi dicevano: «Signora, se fa così è peggio» e io sentivo le fiamme lungo tutto il mio corpo: mi stavano dissolvendo.
Alla fine ci hanno lacerate. Strappate via. L'una dall'altra.
Ti hanno caricata su una macchina scura. Tu gridavi, singhiozzavi, chiamavi "Ma-ma" e protendevi le manine - quelle minuscole, delicate manine che stringevo ogni notte, prima di addormentarmi. Ricordare il tuo pianto, a distanza di tempo, è uno strazio senza fine.
Una fotografia del giardino di Arianna
di © Ginevra Amerighi


Ti hanno portata da tuo padre. Quello stesso padre che non volevi vedere, di fronte al quale ti nascondevi, affondando il visino tra le mie gambe, perché ricordavi bene - nonostante la tua piccola età - di averlo visto gridare e scagliarsi contro di me e picchiare tua madre sul seno, più e più volte.
(«Dammi la bambina» aveva detto un giorno sua madre. «Ce l'hai sempre addosso, non la vedo mai!»
«No, non te la do. La sto allattando, non dovresti disturbarci in questo momento.»
Tuo padre aveva sentito e si era fatto livido. Aveva deglutito una, due volte. E poi ti aveva strappata dal mio petto, per darti a tua nonna. E mi aveva picchiata - come un mostro senza decenza - su quello stesso seno che ti dava nutrimento, vita, amore.)
Ti hanno portata da lui, dalla sua orribile madre e ora essi sono diventati la tua famiglia.
Io non ti ho più rivista. Sono passati, da allora, otto lunghi anni.Otto anni in cui ho lottato per non cedere alla seduzione della morte.
Otto anni senza la tua voce, senza le tue piccole mani paffute. Tanti anni senza poterti nemmeno parlare.
All'inizio ero una larva, un fantasma. Magrissima e sempre desta. I miei occhi erano sempre spalancati su di te, che pure non c'eri.
Per qualche tempo, non è più esistita la primavera. Solo un lugubre silenzioso inverno. E io ero un bozzolo, fra le radici immote delle piante.
Poi ho ricominciato ad accorgermi del sole e dei colori del giardino.
Non fraintendermi, amore mio meraviglioso, non ho ripreso a vivere. Io sono ancora ferma là, su quel marciapiede, a gridare e a lottare come una leonessa per tenerti contro il mio grembo.
Ma ho ripreso a lavorare la terra, a piantare fiori e alberi e a coltivare l'orto.
Non posso più insegnarti nulla (chissà come ti avrà cresciuta tuo padre...) e così il mio giardino è diventato il tuo giardino. Il Giardino di Arianna, lo chiamo.
Arianna mia, se potessi vederlo! Non per vantarmi, ma è bellissimo: ricco di colori, di profumi, pervaso da ogni sorta di melodia della natura. Credo che sia così rigoglioso perché in esso riverso tutto il mio amore per te.
Qui crescono piante di ogni tipo, qui trovano rifugio animali piccoli e grandi.
E tu, mamma? Forse ti domanderai.
Io ti aspetto, fringuellina.
Ti aspetto sempre.
E lotto.
Lotto per entrambe - sperando che, un giorno, lo apprezzerai.

~ * ~

Solo di recente sono venuta a conoscenza della storia di Ginevra e, da quel momento, spesso il mio pensiero è andato a questa bellissima mamma coraggiosa e alla sua bambina: anime calpestate e offese dal patriarcato e dalla violenza istituzionale, che del primo è degna compagna.
Il brano che ho pubblicato vuole essere solo un timido omaggio a Ginevra e alla sua forza. Chi volesse approfondire la sua vicenda (vi invito a farlo e a diffonderla il più possibile, perché dovremmo essere il più possibile vicini e solidali alle vittime di queste clamorose ingiustizie), può farlo visitando questo link o semplicemente digitando il nome di Ginevra su un motore di ricerca.
Forza Ginevra. Forza Arianna. ♥

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