martedì 23 marzo 2021

Sulle tracce della Grande Madre: Gertrude di Nivelles

Primavera è arrivata, anche a questo giro di Ruota. Più fredda e ventosa rispetto a quella assolata e carica di ronzante tepore dello scorso anno, ma infine è iniziata. 
Noi, insieme a Maya, abbiamo fatto risuonare i campanelli per favorire il suo risveglio e abbiamo "addobbato" gli alberi e i cespugli del nostro orto-giardino.
L'immagine che occupa da sempre la mia mente quando penso a questo Equinozio è quella della Dea addormentata, sotto terra, che inizia a muovere un piede, poi un braccio. Allunga la dita e incontra la radice di un albero. Le allunga ancora un po' ed ecco... si apre il primo varco fino alla superficie, verso il sole. Sbadiglia, mugola, come fanno i bambini quando il loro sonno, al mattino, incomincia ad essere più leggero. Tutt'intorno, i suoi figli sono in fibrillazione: sanno leggere i segni, riconoscere i primi sobbalzi di quel corpo che si sta ridestando e sono pronti ad accoglierlo festanti, in un tripudio di Vita che si rinnova. 
È Persefone che si prepara per ritornare in superficie. È la dea Eostre che ricomincia a camminare sui prati, accompagnata dal suo corteo di lepri. È il tempo dell'uovo cosmico che sta per schiudersi, ancora, rigenerando la vita attraverso il ripetersi della prima vibrazione. 
È un momento tanto potente e carico di energia che perfino il cristianesimo non ha potuto ignorarlo e ha tentato di "imbrigliarlo" attribuendo le qualità specifiche della Dea Madre alla Madonna e a numerose Sante.
Penso, ad esempio, alla sant'Agata protettrice di quel luogo indiscutibilmente magico che sono le grotte di Ara (vedi articolo). E penso, oggi, a santa Gertrude di Nivelles, la cui ricorrenza è - guarda caso - il 17 marzo.

Provo sempre un certo disagio nel vedere la Grande Madre costretta sotto le spoglie castigate di Maria o di qualsiasi altra "santa" donna. Perfino l'iconografia, in questi casi, è mortificante: abiti e sai che vogliono coprire e celare il corpo fertile della Primigenia, la postura statica, a mani giunte... Eppure la forza della Madre è tale che pure in queste rappresentazioni imposte dal patriarcato cristiano possiamo coglierne segnali e sussulti. 
Di santa Gertrude, vissuta tra il 626 e il 664, sappiamo che seguì le orme della madre Itta, fondatrice di un monastero "doppio" (cioè con una parte maschile e una femminile, entrambe sotto la guida della badessa) a Nivelles (forse un retaggio, più o meno inconsapevole, della antiche comunità matriarcali?), e che si fece monaca a sua volta, respingendo la proposta di matrimonio del re Dagoberto II. 
Fu perciò monaca colombiana e, come la madre, divenne badessa. In questa veste, contribuì in modo non certo consueto per il periodo, alla diffusione della cultura presso i suoi monaci e le sue monache. Fece arrivare da Roma numerosi manoscritti e, dall'Irlanda, monaci dotti con il compito di istruire la comunità. 
Non solo. Curiosamente (ma non a caso!) santa Gertrude è considerata patrona dei gatti e acerrima nemica dei topi portatori di peste e di malattie, tanto da essere spesso invocata contro di loro, come protettrice e salvatrice.
I segnali sono numerosi, per chiunque sappia e voglia coglierli: sappiamo infatti che da sempre le (i) seguaci della Magna Mater si muovono lungo un percorso di consapevolezza - e dunque di conoscenza. Sappiamo che il topo, animale brulicante e che quindi conduce alla dissoluzione della materia, è emblema di morte e che, al contrario, il gatto (da Bastet in poi) è riconducibile alla Dea dispensatrice di Vita. Il fatto, infine, che - come accennavo prima - la festività di Gertrude sia collocata il 17 marzo, a ridosso dell'Equinozio e in quel periodo dedicato, nelle culture agresti e popolari, ai riti di risveglio, è indice di un filo rosso attivo e ben identificabile.
Da secoli la Grande Madre non fa che disseminare briciole per indicarci la strada da percorrere per ricongiungerci a Lei. Sta a noi riuscire a scorgere quelle briciole (o, se preferite, quei sassolini scintillanti) e a proseguire nella giusta direzione.

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