venerdì 18 febbraio 2022

All'inizio fu il buio e, nel buio, il dolore: riflessioni sul parto e sulla maternità


Oggi, parlando con una cara amica, riflettevo sul materno.
La figura della madre ha un ruolo fondamentale nello sviluppo dell'individuo.
Madri felici crescono bambini felici, per questo è fondamentale ribadire con tutta la nostra forza che cosa sia davvero la maternità: un cammino di consapevolezza.
Siamo maghe e anche un po' sciamane... e non ce lo ricordiamo!


Riflessioni sul parto e sulla maternità
Nonostante gli stereotipi sulla maternità (retaggio di una mentalità cattolica e patriarcale), mettere al mondo una creatura è un'esperienza di dolore deflagrante.
Internet, la televisione e la carta stampata ci inondano di immagini rassicuranti, ci mostrano madri sorridenti che addirittura partoriscono all'interno di un supermercato, come se si trattasse di un semplice incidente di percorso, nulla che un medico presente nella corsia surgelati e qualche confezione di cotone idrofilo non possano sistemare in quattro e quattr'otto. Vogliono convincerci che "venire al mondo" sia qualcosa di estremamente semplice, senza ripercussioni di natura animica o esistenziale. Si bada a pubblicizzare (e acquistare) prodotti all'avanguardia per il benessere fisico della mamma e del nascituro; ci si preoccupa di rispettare con il massimo scrupolo i protocolli ospedalieri; si parla (poco, in verità) di tecniche di respirazione e di allattamento; e, al contempo, si considera con un certo imbarazzo la depressione post partum, liquidandola con poche e rapide parole di circostanza ogni volta che si verifica qualche fatto increscioso - come si farebbe con un parente scomodo e impresentabile.
Non si ha il coraggio di affermare, ad alta voce e senza indugi, che il parto è un'esperienza di dolore priva di eguali e che la madre, proprio attraverso la sofferenza del corpo e della mente, ri-partorisce se stessa insieme al proprio bambino.
Il dolore del travaglio ci pone di fronte ad uno specchio impietoso. Non c'è tempo, non ci possono essere esitazioni. Dal momento in cui le contrazioni hanno inizio, veniamo trascinate lungo un cammino più o meno lungo, nel corso del quale non ci sono soste, non esiste la possibilità di concentrarsi su altro che non sia la realizzazione del "mettere al mondo".  Il bambino che per nove mesi abbiamo cullato e protetto nel nostro grembo, nel calore e nell'oscurità (come fa la terra con i suoi semi o con le creature che sprofondano nel letargo) viene sospinto nella realtà al di fuori dell'utero, indotto ad essere "altro" da noi. E ciò avviene con un dolore e un pathos tali da farci perdere la testa, nel vero senso dell'espressione. Durante il travaglio, cadono maschere e inibizioni: alcune donne piangono, implorano che il tormento finisca in fretta; altre tirano fuori rabbia e aggressività, lanciano insulti e improperi; altre ancora diventano forti come super eroine - e non sempre queste reazioni coincidono con ciò che siamo (o crediamo di essere) quotidianamente. La sofferenza scoperchia botole che credevamo di avere ben chiuso o di cui, in molti casi, neppure sospettavamo l'esistenza. Ci trasporta in una realtà "altra" ed ecco che, in qualche modo, anche noi madri vediamo la luce (una nuova luce) insieme a nostro figlio. L'esperienza dei dolori del parto è misterica, iniziatica e ci guida ad una nuova consapevolezza. E' l'inizio di ogni cosa e per questo possiede una simile forza tellurica. Va rispettata e assecondata - ma non temuta, proprio perché essa ha la capacità di introdurci a una nuova, importante fase della nostra vita.
Non solo: è proprio nella circostanza del parto e del dolore che ne consegue che la donna si ricongiunge e torna ad incarnare il Femminino archetipico e primordiale. Anche la donna contemporanea, che (mi duole scriverlo) è sempre più distante dalla sua reale natura, in quegli istanti sperimenta la potenza della Grande Madre che è insita in ognuna di noi. Proprio per questo si tratta di un'esperienza sconvolgente: di colpo ci troviamo di fronte a uno specchio e questo specchio ci mostra quale forza ancestrale sia annidata in noi. Non a caso, attraverso una sinergia perfetta tra madre e bambino, la pressione della testa del nascituro contro la cervice uterina stimola la produzione di ossitocina, l’ormone che regola il susseguirsi delle contrazioni e che sta alla base della creazione dei legami affettivi, sociali, familiari. Naomi Wolf definisce questo ormone la «superpotenza emotiva femminile », quella che fa sì che una donna si innamori perdutamente del proprio figlio e del proprio compagno, che sia in grado di creare legami forti e solidali e di leggere profondamente e in modo empatico le emozioni altrui. L’ossitocina, insomma, è l’ormone che ci permette di esprimere al meglio quelle potenzialità (slancio verso il prossimo, capacità di accogliere e di com-prendere) atte a creare una socialità sana (simile a quella che doveva esistere nelle antiche società matriarcali e che ancora oggi possiamo riscontrare in quelle sopravvissute) – ed è abbastanza sorprendente che la stimolazione del suo rilascio avvenga in una circostanza di così grande sofferenza come il parto. E’ sorprendente, ma al tempo stesso coerente con quello che è il traguardo finale dell’esperienza della partoriente: non solo riuscire a prendersi cura del proprio bambino nel migliore dei modi, ma, al tempo stesso, creare intorno ad esso e a se stessa una nuova rete relazionale. Il “nido” che accoglie mamma e bambino nel post partum non dovrebbe essere solo un’alcova fisica, ma anche un ambiente emotivamente e sentimentalmente sano. E questo passa in primis attraverso una nuova predisposizione d’animo della madre, attraverso l’acquisizione, da parte della donna, di nuove conoscenze non solo pratiche, ma anche animiche e spirituali e di una nuova consapevolezza. Ho scritto “dovrebbe” e il condizionale è – purtroppo – d’obbligo, poiché spesso, al giorno d’oggi, le cose vanno in maniera ben diversa: la desacralizzazione del momento del parto, l’annichilimento del Femminile in ogni suo aspetto e la perdita di autocoscienza delle donne stesse (che non conoscono più la propria storia e hanno dimenticato le proprie antenate) fanno sì che il rilascio di ossitocina non sia altro che una semplice reazione fisiologica, circoscritta al momento del parto e privata di qualsiasi riferimento simbolico ed esperienziale.
Al contrario, in Natura tutto è simbolo (in greco, questo verbo, symballo, significa “mettere insieme” – e dunque: “collegare”) e anche noi esseri umani, per quanto ormai dediti alla tecnologia e allo scientismo, non possiamo sottrarci a questa verità. Nulla di ciò che in Natura viene prodotto o sollecitato e che risulta ai nostri occhi manifesto possiede un’unica realtà materiale: ogni fenomeno, al contrario, può essere concepito sia dal punto di vista fenomenico sia dal punto di vista filosofico, esoterico, spirituale.
Se proviamo dunque a sollevare il velo e a ragionare utilizzando nuovi parametri (per quanto bizzarri essi possano apparire in una società pragmatica come la nostra), ci accorgeremo che le corrispondences  sacre sono tutto intorno a noi e dentro di noi.
Il cammino di discesa verso l’oscuro (attraverso la sofferenza) e di risalita verso la luce della (ri)nascita che compie la donna al momento del parto è un percorso di consapevolezza ed è lo stesso che compie la Grande Madre nella sua ciclicità.

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